Nella mia esperienza di collaborazione con il Centro Antiviolenza, ho incontrato molte donne vittime di violenza che richiedevano un sostegno psicologico che le aiutasse a ricostruire sé stesse e a ridefinire la propria dignità di Donna, calpestata da anni di maltrattamenti fisici, economici, ma soprattutto psicologici come si può capire leggendo l’articolo dedicato al Convegno Vincere insieme la violenza di genere. Promuovere lavori di civiltà.
Ciò che accumuna queste donne è la fatica di svelare e raccontare quello che accadeva tra le mura domestiche, una sfera molto intima e privata che è difficile condividere con altri. Spesso i racconti sono colorati da sentimento di vergogna per quanto accaduto, per l’incapacità di sottrarsi alle violenze. Spesso le donne hanno il timore di essere giudicate da chi le ascolta, e ciò si avverte.
Nel supporto psicologico alle vittime di violenze reputo sia importante innanzitutto rassicurare la donna che l’ascolto da parte del professionista è libero da qualsiasi forma di giudizio.
Saper ascoltare la storia dell'altro
Personalmente preferisco che sia la donna stessa a raccontarmi la sua storia, evitando perciò di leggere la scheda compilata dall’operatrice che ha svolto il colloquio di accoglienza, così da riuscire a cogliere la parte emotiva del racconto. Ritengo, infatti, importante cogliere non solo l’emozione che esprime la donna ma anche ascoltare le “reazioni di pancia” di fronte alla narrazione: spesso è grazie al contro-transfert che si riescono a comprendere i pattern relazionali che caratterizzano la modalità che la donna utilizza nell’entrare in relazione e che possono guidare l’intervento di supporto. Riuscire ad individuare pattern relazionali disfunzionali e intervenire per modificarli è uno degli obiettivi che ci si pone nel percorso.
Talvolta è difficile per il professionista accettare le proprie reazioni di pancia, perché a volte possono davvero “spaventare”. Ad esempio, nel lavoro con alcune donne mi è capitato di avvertire un forte fastidio, quasi un’avversione, e pensare: “Posso capire perché il compagno la picchiava o aveva certi atteggiamenti con lei… Lo avrei fatto anche io”.
E’ un pensiero non semplice da accettare, ma che svela la modalità passivo-aggressiva che la donna mette in atto nelle relazioni: ha un comportamento remissivo, ma intriso di modalità provocatorie. Queste donne spesso faticano a cogliere i rimandi e riconoscere la loro parte agita nella conflittualità di coppia; l’obiettivo nel lavoro con questi soggetti è proprio quello di aiutare a ri-significare gli eventi accaduti individuando gli aspetti critici del proprio comportamento.
Di contro ci sono donne che suscitano emozioni di pietà, compassione; il pensiero che si affaccia alla mente del terapeuta è “poverina…”. Il professionista si sente messo nella posizione di colui che deve aiutare e salvare la persona che ha davanti. Questo tipo di reazioni svelano la posizione della dipendente affettiva. La donna, per la paura di essere sola, si appoggia completamente all’altro nella relazione e lo compiace e soddisfa annullandosi completamente. E’ quindi importante nel lavoro con questa tipologia di donne ricostruire l’autostima e il valore di sé come Donna.
Il terapeuta comprende di essere di fronte a donne veramente pronte a mettere in discussione sé stesse e a investire in un percorso di sostegno che concretamente le aiuti ad uscire dall’incubo della violenza domestica: neutralizzati i condizionamenti emotivi si riuscirà a svolgere il ruolo di guida/accompagnatore.
Si ritiene quindi che la capacità del terapeuta di utilizzare le proprie reazioni emotive, il contro-transfert, come guida alla lettura dei pattern relazionali che le donne mettono in atto sia uno strumento psicologico prezioso ed efficace nel lavoro con le donne vittime di violenza, intervenire per modificare cioè i giochi relazionali che esse mettono in atto.
AGGIORNATO IL : 11/09/2021
Crediti: Donna, foto di VictoriaBorodinova da Pixabay
Immagine di copertina: Foto di Stefan Keller da Pixabay