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Sempre più frequentemente si parla di ansia, di angoscia, di panico: sono stati d’animo in grado di produrre sintomatologicamente una numerosa serie di psicopatologie, a loro volta capaci di indurre anche patologie organiche di origine psicologica, cioè le malattie psicosomatiche e quelle derivate dall’ipocondria, perché il pensarsi ammalati ammala.
Nelle espressioni attacco d’ansia, attacco d’angoscia, attacco di panico vorrei dapprima richiamare l’attenzione sul termine che li accomuna, attacco, per poi analizzare i singoli termini che vi sono associati.
Chi è il nemico
La domanda che mi pare cruciale è: chi, o che cosa, mi sta attaccando? Da dove proviene l’attacco, dunque il nemico? Qual è la fonte del mio malessere? Ebbene, l’intenzione è approfondire le dinamiche di questi diversi malesseri così da permettere a ognuno di confrontarsi con la propria esperienza e, per analogia e/o differenza, trarre le proprie considerazioni e/o elaborazioni.
Meglio dei farmaci, in grado di attenuare solo temporaneamente il sintomo, una psicoterapia può rivelarsi efficace strumento di indagine sui motivi più profondi di tali disagi. Ritengo peraltro che la massima efficacia si raggiunga attraverso la relazione psicoanalitica.
Non c’è nessuno al di fuori di me che mi attacca, mi aggredisce, mi provoca: se così fosse non parlerebbe di ansia, di angoscia o di panico, ma di violenza reale, realmente subita o incombente.
Ma allora quale mia componente si attiva, si mette all’opera, al lavoro per aggredirmi?
È senza ombra di dubbio il mio pensiero. È il mio pensiero ad attaccarmi, ad aggredirmi, a volte ad annientarmi. Come è possibile questo? Attraverso il secondo sistema nervoso, il neurovegetativo detto anche autonomo, trasmetto a tutti i miei organi e ai loro processi involontari – la respirazione, il battito cardiaco, i moti intestinali, della vescica ecc. – il mio stato emotivo, cioè affettivo, la mia condizione psicologica, che trasmette il mio stato d’animo, prodotto dal pensiero, al mio organismo.
L’attacco
L’attacco al mio corpo, alla mia condizione fisica viene portato da nessun altro che da me stesso nella misura in cui il mio pensiero volge al negativo, al malessere, alla situazione di perdita del controllo. Ed è specialmente in quei momenti che constatiamo quanto sia difficile, per non dire impossibile e vano, controllare il pensiero.
Dice Giacomo Contri: “il pensiero è fonte di legge, e non soggetto a legge“.
Se vogliamo interpretare soltanto in senso negativo, oppressivo, questa frase, possiamo dire che in questi casi il pensiero “detta legge”. Dobbiamo in tal senso tener conto dell’inconscio, i cui contenuti possono irrompere nel mio pensiero non tanto con tratti di razionalità, che immaginiamo più gestibili, ma anzi capaci di condizionare in modo travolgente il mio stato affettivo, e quindi il pensiero.
Simili ma diversi
Consideriamo dunque i tre diversi malesseri, e approfondiamone le dinamiche, per comprendere il pensiero di fondo che le attiva.
L’ansia
L’ansia arriva quando anticipo, sono indotto a “pre-vedere”, un risultato negativo a un evento che sono in procinto di affrontare. Vale a dire che inizio a prefigurarmi, a rappresentarmi il fallimento, per esempio di un esame, o di un lavoro, o di un incontro o di quant’altro. A questo punto è come se, essendomi “anticipato” la negatività dell’evento, già ne vivessi il fallimento, trasmettendo questo stato d’animo, questo affetto, al mio corpo, a tutti i miei organi interni, che inizieranno a funzionare in modo alterato.
Va detto però che per fortuna l’ansia, essendo un pensiero che comunque contiene in sé un certo margine di approssimazione, di indeterminazione, non mi porta a cedere istantaneamente allo stato di malessere: piuttosto pare diluirsi e colorare di sé ogni momento, o meglio lo scorrere del tempo che mi separa dall’accadere dell’evento stesso. L’ansia è un attacco che mi circonda a distanza, è il pensiero “e se andrà male?”. Alla rappresentazione della scena del fallimento che mi prefiguro, immediatamente segue l’elaborazione e lo studio delle possibili scuse che posso addurre o delle riparazioni che posso mettere in atto. Tutto ciò senza che nulla sia ancora accaduto, di cui la definizione di ansia anticipatoria. Anticipiamo un fallimento non ancora avvenuto, è come se l’attacco fosse solo dichiarato – e fa paura – ma non ancora scagliato su di noi.
Per inciso, la paura non è ansia; anzi la paura è cosa sana e giusta e utile, perché ci mette in condizione di provvedere in anticipo a eventuali carenze, problemi, pericoli. Esistono atti concreti, strategie preventive per considerarli e gestire il loro contenuto di incertezza che induce paura: mettere benzina quando vedo che si accende la spia della riserva, studiare la materia per il timore di mal figurare all’interrogazione, eccetera.
L’angoscia
L’angoscia è uno stato affettivo che produce forte disagio, un vero e proprio peso sullo stomaco e sui polmoni, qualcosa che mi fa sentire incapace di reazione, incapace di mettermi in moto e di agire. Sì, faccio qualcosa, ma è tutto inutile, resta intatta e inattaccabile quella sensazione incombente di pericolo e di malessere estremo che non so, non capisco da che parte possa arrivare. Il pensiero che mi attacca e che sovrintende all’angoscia è “cosa sta per succedermi di male?”
Un’atmosfera greve e faticosa si estende a ogni mio pensiero e mi pervade fisicamente al punto di rallentare e condizionare in negativo tutta la mia giornata: mi sento fuori posto ovunque, in ogni ambiente, cerco sollievo cambiando continuamente anche la mia posizione, ma non riesco a star seduto, non riesco a stare in piedi. Insomma sono sotto affetto-effetto di imminente dramma e non sto bene in nessun luogo nonostante cerchi sempre di cambiare postura, come se essa potesse mutarmi il pensiero.
Il panico
Infine l’attacco di panico, il più feroce di tutti – ma anche gli altri non scherzano! -, rappresenta un’offensiva decisamente forte, categorica, inequivocabile. Il pensiero aggressivo è: “sto per morire”. La trasmissione di tale pensiero all’organismo attraverso il sistema nervoso neurovegetativo determina uno stato fisico tale da non essere più controllabile: tachicardia, respiro affannoso, sudorazione, tremori mettono il soggetto in condizioni disperate, non ci sono risorse per arginare tale travolgente sintomatologia, non resta che mettersi nelle mani della medicina, del medico, al pronto soccorso dell’ospedale più vicino forse possono salvarmi dalla morte che sento incombente. Non c’è più spazio per la ragione, i sintomi fisici prendono il sopravvento e non si possono fermare. In queste condizioni il soggetto è veramente “fatto fuori”, non è più in grado di opporre alcuna volontà, ma solo di abbandonarsi alle cure di chi è ritenuto competente a salvarci da morte sicura.
Descritti i pensieri che “vanno all’attacco” del soggetto e che sovrintendono ai meccanismi di ansia, angoscia, panico, cerchiamo di capire in che modo essi si differenziano nei diversi soggetti. Vale a dire: perché qualcuno soffre d’ansia, qualcun altro di angoscia, altri di attacchi di panico.
Il pensiero al lavoro
Esaminiamo i diversi pensieri, avvalendoci di una relazione di Raffaella Colombo (contenuta in Psicopatologia, Lezioni del corso 1991-1992 dell’Istituto “Il lavoro psicoanalitico”, lezione n. 8, parte speciale nevrosi 2).
Sono almeno quattro: il pensiero pratico, il pensiero conoscitivo, il pensiero mnemonico e il pensiero critico. Diciamo subito che gli ultimi tre servono – meglio: sono al servizio – del pensiero pratico.
- Il pensiero pratico persegue solo ciò che dà piacere, e si ferma di fronte al dispiacere. È il più ancestrale, procede dall’investimento del desiderio senza passare all’azione, ma da usare all’occorrenza. È presente, memorizzato e diventa memoria di pensiero, grazie alla quale facilita l’azione specifica.
- Il pensiero conoscitivo (o osservante o teoretico o sperimentante) costituisce, per il pensiero pratico, un’economia, grazie alla facoltà di giudizio. È il nostro modo abituale di pensare: è il comune pensiero, a tutti normalmente inconscio, attivato dalle percezioni e capace di coscienza grazie alla parola. Secondario cronologicamente al pratico, lo serve e lo facilita.
- Il pensiero mnemonico è costituito dal risveglio di pensieri già fatti bene, ed è attivato dalla differenza. È in parte incluso nel pensiero pratico, pur essendo più di questo: è infatti preliminare all’ultimo – in ordine cronologico – : il pensiero critico. Questo, senza scopo pratico immediato, è – come il pensiero teoretico – al servizio della soddisfazione, più precisamente della soddisfazione dell’attività del pensiero. Cosa vuole dire: soddisfazione dell’attività del pensiero? Viene attivato dal dispiacere provocato da contraddizioni del pensiero, cioè il pensiero stesso provoca dispiacere quando ad esempio si imbatte nel principio di non contraddizione. Fra le contraddizioni del pensiero ci sono anche gli errori di giudizio: giudizio è la capacità di distinguere ciò che è bene per me da ciò che è male, e da dove viene, cioè la fonte del benessere o del malessere, dunque avvicinarsi o allontanarsi.
- Il pensiero critico persegue inversamente – e forse fino alla percezione, quindi inversamente rispetto al pensiero conoscitivo – un processo di pensiero dato, incontrandone delle tracce di memoria. Suo scopo è la conclusione, conclusione o attuazione del giudizio. Il progresso del giudizio è uguale a conclusione del pensiero.
I meccanismi del malessere
Alla luce di ciò, torniamo ai pensieri che presiedono ai meccanismi psichici dell’ansia, dell’angoscia e del panico, e cerchiamo di identificarli.
Ansia, angoscia e panico iniziano tutti dal pensiero conoscitivo, dall’inconscio, ma di volta in volta supportati dalle altre forme di pensiero. Il pensiero dell’ansia – e se andrà male? – si avvale certamente del pensiero conoscitivo, ma supportato da quello mnemonico che si riferisce alle cose fallite del passato. La domanda che domina l’angoscia – cosa sta per succedermi di male? – nasce sempre dal pensiero conoscitivo, ma questo è supportato dal pensiero critico che fallisce nel suo giudizio e non permette più l’azione, qualsiasi azione. Nell’attacco di panico, infine, la frase “sto per morire” inizia dal pensiero conoscitivo ma si avvale anche del pensiero pratico che si ferma, si blocca nei confronti del dispiacere provato dal pensiero conoscitivo. Tutto questo movimento del pensiero è utile per affrontare se non risolvere gli stati di sofferenza che il nostro stesso pensiero ci procura.
Saper pensare bene
Che fare, dunque, per fronteggiare e trattare questi stati d’animo, questi pensieri davvero dolorosi e invalidanti per il soggetto? Certamente sono partigiano della psicoanalisi, non ho quindi le competenze per stilare protocolli di esercizi diversi o per suggerire comportamenti atti a diminuire o eliminare queste patologie. Considerando però che è il pensiero del soggetto stesso che conduce l’attacco, che il nemico, come si è chiarito, è interno e si avvale del pensiero come veicolo per l’aggressione, mi sembra in tutta evidenza che si debba sbloccare l’attività deleteria del pensiero, che ci si debba avvalere del mirabile strumento dell’associazione libera per riattivare, riabilitare le funzioni principi del pensiero e dunque ripristinare la sovranità del soggetto, il saper pensare bene per sé stesso.
La libera associazione, che non è l’associazione libera che potrebbe condurci ad associarci al malessere, è la facoltà di ciascuno di riferirsi al proprio desiderio, alla propria attività, alla propria memoria, al proprio senso critico, a tutto quello che purtroppo non ci viene mai in mente nelle situazioni critiche prodotte dall’ansia, dall’angoscia, dal panico. È la libera associazione la pratica psicoanalitica in grado di permetterci di sottrarci, di “saltare fuori” dalla fissazione – e inibizione – del pensiero. Cosa non facile, ma neanche impossibile.
AGGIORNATO IL: 14/09/2021
Crediti: Chi è il nemico – pixabay.com; Volto di donna- pixabay.com; Occhi – pixabay.com
Immagine di copertina: Nave in tempesta – pixabay.com