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La clinica transculturale si occupa della presa in carico di chi è passato dalla cultura di origine ad una nuova cultura, quella di accoglienza; si interessa quindi alle persone e alle famiglie migranti e prende in esame le loro rappresentazioni culturali, utilizzandole e mettendole a frutto del processo di diagnosi e cura. Queste rappresentazioni culturali hanno la funzione di orientare l’individuo, inserito nel suo sistema famigliare e sociale, nei momenti di “crisi” e di passaggio, che sono “universali” (Geertz, 1987) e che quindi riguardano le società di ogni parte del mondo e in ogni tempo. Alcuni di questi sono relativi alla nascita, alla morte, alla costituzione dei legami sociali e di coppia, alla condizione di malattia o di disabilità.
“Se vuoi arrivare primo, corri da solo;
se vuoi arrivare lontano, cammina insieme.”
(Proverbio del Kenya)
Che cos’è la cultura?
Possiamo definirla come un “sistema complesso di rappresentazioni e principi, di norme negative e positive, di valori connessi a particolari modi di pensare e di agire, caratteristici di un gruppo o di una società, che nel loro insieme orientano e organizzano i differenti aspetti della vita sociale” (Tylor, 1871). La cultura, quindi, o meglio le culture sono sistemi dinamici, attraversati da mutamenti, contaminazioni e conflitti, e tuttavia capaci di mantenere un certo grado di stabilità interna.
La cultura è una classificazione del mondo che ci consente di orientarci con maggiore facilità; è la memoria del passato tipica di una comunità, che implica codici di comportamento nel presente e strategie per il futuro. L’essere umano è, quindi, un prodotto storico-culturale. La cultura preesiste all’individuo e non la si può cambiare dall’oggi al domani, ma questa non è innata, bensì è acquisita tramite gli attaccamenti fondamentali: padronanza della lingua, familiarità con la storia della comunità, con i suoi paesaggi e con i costumi, i cibi e i riti, retti da molteplici codici invisibili.
In quest’ottica lavorare con una persona migrante richiede sempre di riferirsi alla comunità e alla cultura di appartenenza.
I sistemi medici tradizionali e le eziologie
Se per eziologia intendiamo lo studio degli agenti e delle cause delle malattie, quando si parla di eziologie tradizionali, si indicano le cause delle malattie secondo i sistemi medici locali. Un sistema medico tradizionale è un sistema complesso di conoscenze e di pratiche, caratteristico di un gruppo sociale e relativo alle malattie e alle loro interpretazioni, all’uso dei rimedi (naturali e non) e ai rituali terapeutici.
Un sistema medico tradizionale, quindi, viene identificato con la storia e le tradizioni di una popolazione a cui si fa riferimento e si contrappone alla medicina e alla scienza cosiddette “occidentali”. I sistemi medici tradizionali non sono circoscritti unicamente al campo della salute, della malattia e della cura, ma sono intrisi di aspetti culturali, sociali, morali e religiosi.
Tra le eziologie dei sistemi tradizionali, è possibile distinguere fra cause immediate (o scatenanti, in cui è l’Altro persecutore il responsabile del male) o originarie (in cui è evidente la responsabilità individuale, quindi la coscienza di una colpa commessa dalla vittima stessa, da un suo famigliare o da un suo antenato) (Beneduce, 2008). In alcuni sistemi di cura tradizionali, si riscontrano classificazioni eziologiche secondo i luoghi (ad esempio malattie di boscaglia vs malattie del villaggio), secondo il tempo (malattie della notte vs malattie del giorno) o la causalità (malattie della natura o malattie inviate dall’entità suprema o da entità invisibili).
A questo proposito, il mondo (o realtà) invisibile è sovente chiamato in causa nelle eziologie tradizionali, inteso come spazio popolato da esseri ed entità, che connota in modo massiccio l’esperienza quotidiana degli uomini, rappresentando come una sorta di doppio, di riflesso al cui interno si giocano sfide, si subiscono attacchi o si realizzano alleanze per nuocere alle vittime.
Eziologie e cure della malattia e della disabilità infantile
Le eziologie tradizionali sono indispensabili quando ci si occupa di neonati e bambini. Ad esempio, in Africa il neonato è considerato come uno straniero che i genitori devono accogliere, conoscere e rendere umano. In quest’ottica, il feto è già un essere umano completo e provvisto di un’identità da scoprire. È dunque estremamente importante dare al neonato il giusto nome, al fine di identificare al più presto la sua vera natura, dato che un nome inadatto potrebbe farlo ammalare o indurlo a “ripartire”, cioè morire (Nathan, 1996).
Se un bambino è gravemente malato, il guaritore potrà attribuire la sua malattia al fatto che gli è stato dato un nome sbagliato e suggerirà ai genitori di cambiarlo. Qualora si presenti un disturbo durante la gravidanza, il parto o la prima infanzia, il guaritore si pronuncerà sull’identità del bambino, inviato dagli dei, dagli spiriti o dagli antenati. Questi bambini, che talvolta presentano uno sviluppo disarmonico, altre volte sono affetti da grave disabilità, sono pensati come esseri a metà strada tra il mondo degli uomini e quello delle entità invisibili o degli antenati.
Mentre nel pensiero psicoanalitico il bambino è concepito come unito simbioticamente alla madre, tanto che è necessario l’intervento di un “terzo” per separarli, nei sistemi tradizionali il bambino è rappresentato come uno straniero da aggregare prima alla madre, poi al gruppo famigliare, infine al gruppo sociale/culturale.
Emergono non soltanto differenti concezioni di malattia e cura, ma diverse rappresentazioni dell’umanità, per cui alcune persone con determinate caratteristiche biologiche non possono essere considerate all’interno di ciò che si definisce come umano.
Infatti, le spiegazioni delle anomalie possono essere le più disparate e possono derivare da ambienti culturali che si rifanno a diverse “teorie dell’umano” e del mondo (visibile e invisibile). Nella gran parte dei casi queste concezioni non corrispondono al paradigma biomedico e alla nostra idea di disabilità che da esso è informato. Ci sono contesti dove la parola ‘disabilità’ non ha neanche ragione di esistere.
Queste riflessioni sono fondamentali per capire la realtà dei disabili migranti e quale sia il loro modo di vivere la situazione e di concettualizzare e percepire la loro condizione, magari in riferimento alla relazione con la nuova realtà adottiva del nostro paese, socio-culturale e istituzionale-assistenziale.
La nascita di un bambino “anomalo” viene a volte interpretata dalla sua famiglia e dalla comunità come una volontà di Dio, a volte come una vera e propria punizione delle divinità (che siano entità divine o antenati), in conseguenza del mancato rispetto delle regole della natura o del gruppo sociale.
Anche il livello di istruzione dei genitori può indurre differenti spiegazioni: la nascita di un bambino “anomalo” si spiega a partire dalla malformazione genetica tra la gente istruita e aperta, mentre tra alcuni nella zona rurale soprattutto di religione tradizionale, viene visto come un male, ripercussione o punizione divina contro i genitori o i loro antenati.
Altre cause di malattia e disabilità nelle culture tradizionali possono essere ricondotte alle seguenti spiegazioni, molto differenti dalle eziologie del paradigma medico-scientifico cui siamo avvezzi (per noxema si intende un insieme di conoscenze, rappresentazioni e pratiche relative a particolari malattie, alle loro manifestazioni e alle loro cause):
- Le affezioni neonatali provocate dalla trasgressione, da parte dei genitori, di interdetti concernenti i rapporti sessuali durante particolari periodi (gravidanza, puerperio);
- Il vento, a cui sono ricondotti vari disturbi, di natura prevalentemente psichica, spesso associati all’esperienza dello spavento;
- djinn (o jinn): sono entità invisibili spesso evocate nella cultura tradizionale araba e ritenute responsabili di malattie, disturbi e problemi se vengono infastidite, anche se non hanno un carattere necessariamente negativo; in Africa sub-sahariana si fa riferimento al sopraggiungere di un turbine di vento e polvere come segnale della presenza di un jinn, rinviando quindi non soltanto all’esistenza di essere invisibili, ma anche ad una particolare rappresentazione del corpo e alla permeabilità tra dei confini fra mondo umano e mondo invisibile;
- malocchio: riguarda le conseguenze negative derivanti da uno sguardo carico di ostilità e invidia, espressione di un desiderio distruttivo nei confronti di qualcuno le cui qualità o fortune non possono essere eguagliate;
- animali: il ruolo attribuito ad alcuni uccelli, soprattutto rapaci e/o notturni nella insorgenza di malattie infantili; il ruolo dei vermi in molte patologie a causa di sintomi più disparati (stanchezza, cefalea, dolori addominali, insonnia, dolori articolari…); talvolta i vermi sono considerati normalmente presenti nell’organismo ma diventano responsabili di disturbi se si spostano o se crescono di numero.
- susto (spavento, nella cultura sudamericana): insieme di affezioni e disturbi che conseguono a un’esperienza di forte paura o sorpresa.
Ciò che accomuna tutte queste eziologie è il pensiero che le cause delle malattie (fisiche o psichiche) siano da ricercare “fuori” dal soggetto, nell’influsso di elementi esterni (animali, spiriti come i Djinn, eventi spaventosi e imprevedibili) o più spesso nella cerchia della rete di relazioni della persona (malocchio o fattura, regole sociali trasgredite dalla persona che si ammala, dai suoi antenati o famigliari attuali). Nelle culture occidentali, al contrario, le cause delle malattie vanno indagate “dentro” la persona, basti pensare a come funzionano i nostri metodi di indagine e di diagnosi medica (si veda l’articolo Il concetto di diagnosi in medicina e in psicologia), in grado di scrutare gli organi, i tessuti e perfino il DNA.
Ciò vale anche per i disturbi di natura psichica: per gli occidentali, il malessere psichico nasce da conflitti interiori, invece nelle culture tradizionali la fonte del malessere (fisico o psichico) viene da “fuori”, da un disordine che avviene tra il mondo visibile e il mondo invisibile.
Cure tradizionali
Non solo i metodi di diagnosi, ma anche di cura differiscono in modo sostanziale. I guaritori tradizionali sono persone speciali, individuati come tali per abilità e competenze e hanno come compito principale quello di ristabilire l’ordine tra il mondo visibile e quello invisibile.
Nelle culture tradizionali troviamo numerosi metodi di cura, che spesso sono anche utilizzati come strategie di protezione e prevenzione:
- Divinazione: insieme eterogeneo di tecniche atte a decifrare cause o significati di eventi già accaduti o predire gli eventi futuri; richiede l’utilizzo di materiali differenti (pietre, macchie di caffè, conchiglie, acqua, sabbia, semi, etc.);
- Esorcismo e adorcismo (il secondo è una formula meno conflittuale, in cui il sacerdote, invece che tentare l’espulsione del demone o spirito che affligge la persona, tenta di stringere con lui un’alleanza, al fine di realizzare una sorta di possessione regolata, meno caotica e pericolosa);
- Vodu: insieme di pratiche e culti religiosi originari dell’Africa occidentale;
- Wootal (“richiamo”): pratica rituale volta a far tornare un membro del gruppo rimasto troppo a lungo lontano dalla famiglia e dal villaggio;
- Uso di erbe e radici come metodi di cura e purificazione ma anche come prevenzione;
- Pratiche spirituali varie (preghiere e voti);
- Strumenti e oggetti di protezione (artefatti o elementi naturali, ad es. pietre).
In questi metodi e rituali assume un ruolo fondamentale il “guaritore”, che a seconda dei paesi del mondo ha un nome differente (curandero, marbout, sciamano), insieme al gruppo famigliare, che partecipa con il paziente al rituale di conoscenza e di guarigione.
Spesso la consultazione con un guaritore, specie nel caso di un bimbo malato o disabile, NON ha l’obiettivo di guarirlo, ma di seguirlo e proteggerlo e sostenere i genitori. Il guaritore può dare alla disabilità il SENSO di una prova di forza a cui la famiglia è sottoposta, oppure incolpare gli antenati di una qualche antica trasgressione, in modo da distogliere l’attenzione dei genitori dal figlio e lenire il senso di colpa. Ciò permette alla famiglia di costruire nuovi legami con la comunità di appartenenza e affrontare la crescita del figlio e la sua partecipazione alla vita sociale del gruppo.
In Europa non esistono guaritori e spesso si assiste, quando le condizioni economiche della famiglia migrante lo consentono, a un andirivieni al paese d’origine per consultare gli anziani del villaggio o sottoporsi a rituali di guarigione che in terra di migrazione non avrebbero senso o sono irrealizzabili, proprio perché manca il gruppo sociale che compartecipi alla cura.
In conclusione
Nel lavoro clinico con le famiglie migranti, specialmente in presenza di malattie o disabilità significative, è opportuno intraprendere un lavoro sui contenuti culturali rappresentati dalle eziologie tradizionali e questo lavoro è facilitato se il clinico esprime un interesse, anche implicitamente, per le “teorie tradizionali”. La condivisione di queste credenze costituisce l’inizio del cammino di guarigione. Sovente, le eziologie tradizionali consentono di lavorare sulle interazioni, sulla natura dei legami esistenti tra due persone, oppure sulla natura del legame tra un individuo e il suo gruppo. Per questo motivo, il guaritore si esprimerà in merito non ai conflitti interiori, ma ai conflitti interattivi, al campo intersoggettivo (M. R. Moro, 2009). Questo approccio non è così dissimile dal lavoro psicoanalitico.
AGGIORNATO IL: 1e/09/2021
Riferimenti bibliografici:
- Beneduce R. Breve dizionario di etnopsichiatria (Ed. Carocci, 2008).
- Geertz C. Interpretazione di culture (Il Mulino, 1987 – edizione originale 1975).
- Moro M. R. et al. Manuale di psichiatria transculturale. Dalla clinica alla società (Franco Angeli, 2009).
- Nathan T. “Princìpi di Etnopsicoanalisi” (Bollati Boringhieri, 1996).
- Tylor E. B. “Primitive Culture” (London, 1871).